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A titolo di notizia molto curata dell’inchiesta sui furti di veicoli, Il “Centauro” e ASAPS analizzarono in maniera scientifica uno dei fenomeni criminali più diffusi e, al tempo stesso, devastanti per l’economia: il furto e la rapina dei veicoli commerciali. Il pezzo, che parte dalla statistica diffusa dal Ministero dell’Interno, cerca di dare un’idea di quanto negli anni il fenomeno sia stato altalenante, nella sua evidente evoluzione. Su tutto, come sempre, l’ombra della criminalità organizzata e la necessità di affinare sempre più le tecniche investigative, interagendo con le polizie europee e mondiali. Un compito affidato, in Italia, alla Terza Divisione del Servizio Polizia Stradale, riferimento per l’intelligence di Compartimenti e Sezioni della Specialità.

Un veicolo pesante rubato su due, in Italia, viene ritrovato. È una magra consolazione? (assolutamente no); oppure il bicchiere è mezzo pieno?

Il fenomeno criminale del furto di veicoli commerciali è, in realtà, una delle bestie nere dell’Italia, paese che non riesce a garantire la necessaria sicurezza, su questo fronte, rispetto a molti partner europei: ciò è dovuto in parte alla scarsa valenza giuridica dei reati, in parte alla circostanza che un ladro od un rapinatore di tir, figura che necessita di un’elevatissima professionalità, non resta mai in carcere a lungo. La statistica,ha evidenziato una sostanziale stagnazione del fenomeno, sia sul fronte dei furti (nei quali va inserita una moltitudine di reati predatori, prima tra tutte la rapina) che su quello dei rinvenimenti.

È in seno a questi gruppi dolosamente organizzati che le forze di Polizia localizzano le centrali operative criminali con le rispettive maestranze, alimentate negli ultimi anni da forti infiltrazioni di manovalanza albanese e romena.

L’analisi delle strategie criminali e la recrudescenza (un furto su tre ai danni di un Tir avviene durante la sosta in autostrada), hanno indotto la Commissione Europea a ripensare le aree di servizio autostradali in chiave di una maggior sicurezza, ma paradossalmente, l’Italia sembra non rientrare in questo piano di interventi finanziati.

In materia di furto di veicoli commerciali, si deve considerare che esso è caratterizzato da una moltitudine di reati assolutamente accessori, che possono essere suddivisi in relazione alla finalità che ogni fattispecie consente di perseguire:
• Furto del veicolo al fine di riciclaggio;
• Tipologia del veicolo (autocarro, trattore,rimorchio, semirimorchio);
• Furto del veicolo al fine di trafugare il carico;
• Rapina al fine di trafugare il carico, il veicolo o entrambi;
• Simulazione di furto/rapina a fine assicurativo per la merce trasportata, per il veicolo o entrambi. Il fenomeno dei furti di veicoli commerciali rappresenta, in linea temporale, la naturale prosecuzione del brigantaggio più classico (anni addietro alcune associazioni di categoria sollevarono il problema) : l’assalto alla diligenza. Ovvio, non si tratta più del “Passatore”, e non c’è nessuna motivazione classica a giustificarne le gesta. Ciò che spinge qualcuno a dedicarsi a questo tipo di attività criminale, è semplicemente il denaro facile e il desiderio di farsi una posizione in un contesto delinquenziale. Chi decide di trafugare un veicolo commerciale, ha solo da scegliere: autotreno, autoarticolato, autocarro o furgone. Più è grosso il bersaglio, maggiore sarà la quantità di carico trasportato e quindi maggiori saranno gli immediati profitti derivanti dalla vendita della refurtiva.

In realtà, le modalità illecite per entrare in possesso di un veicolo o di un complesso veicolare, sono moltissime:
• furto classico: il veicolo, o il veicolo complesso, viene fatto sparire durante la sosta, anche all’interno di perimetri aziendali. A volte si cambiano le centraline, altre ancora il ladro riesce ad avere le chiavi. Spesso, il sistema satellitare ne consente la cattura;
• nel sequestro di persona a scopo di rapina o nella rapina semplice, la violenza e la superiorità numerica riducono all’impotenza la vittima. In genere questi delitti avvengono in itinere, autostrada o grande viabilità: l’autista dorme in cuccetta o si prepara a ripartire, quando dalla portiera destra (effrazione non visibile durante la marcia) viene infranto il vetro. L’irruzione è rapida e decisa: più il rapinato si oppone, maggiori saranno le sevizie. Il sequestro si prolunga fino al luogo di arrivo e di scarico della merce e viene in genere rilasciato a debita distanza, legato e imbavagliato;
• anche la simulazione di reato è un espediente significativo nella filiera criminale: può capitare purtroppo, anche che  l’autista compiacente venda camion e carico a conoscenti, ottenendo una ricompensa ed inscenando poi una messinscena in    luogo diverso;
• la sostituzione di persona è invece una tecnica sopraffina: gli specialisti si fanno assumere in grosse compagnie o incaricare per singoli viaggi, esibendo documenti falsi o contraffatti, ed al primo trasporto di valore spariscono senza lasciare traccia: grazie alle opportune modifiche sui documenti di viaggio, raggiungono in fretta i confini di stato, e prima di varcarli taroccano sommariamente documenti e targhe;
• truffe o appropriazioni indebite. Una volta scaricata la merce, però, cosa succede del complesso veicolare? Se il carico soddisfa le aspirazioni dei delinquenti, allora viene abbandonato, ma se dal colpo il gruppo intende ricavare il massimo profitto possibile, ecco che gli specialisti lasciano il posto ad altre figure criminali. Si entra, in questo caso, nel campo del riciclaggio. Il veicolo, di qualsiasi tipo esso sia, viene ricoverato in officine ben schermate: le targhe ed i documenti originali vengono distrutti, le matricole abrase, ripunzonate o taroccate, le scritte cancellate. Quando si è sicuri di poter superare i controlli, il veicolo torna in strada e prende la via di paesi lontani, per non tornare mai più.

Ora noi di PMIA risolleviamo il problema portandolo all’attenzione delle autorità preposte nella speranza che, come nelle premesse, l’attività volta a contrastare il fenomeno criminoso, possa prendere maggiormente forma al fine di assicurare la sicurezza degli autisti, la loro incolumità ed il lavoro delle imprese di autotrasporto.

Tornando all’ultimo evento malavitoso e gravissimo di Barletta, la PMIA, che si mette a disposizione per portare presso le sedi opportune un contributo di idee risolutive  al problema, si domanda se a fronte dei fatti e delle statistiche, quanto ancora si deve aspettare perché si attui un monitoraggio nel territorio e cominci veramente un controllo più capillare e mirato, onde evitare di dover piangere un autista che tenta di salvare merce e mezzo!!

La speranza, come si dice è l’ultima a morire, ma noi non vorremmo morire sperando.

Il presidente Nazionale PMIA Martino Adesso

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È un’inchiesta con due indagati, accusati di rimozione ed omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e, quella aperta dalla Procura di Teramo, e relativa alla manomissione dei cronotachigrafi di alcuni autoarticolati. A finire nel registro degli indagati i titolari di due officine autorizzate, mentre per proprietari ed autisti dei veicoli sono scattate le relative sanzioni amministrative.
Secondo quanto emerso in questa prima fase di indagine, con gli accertamenti affidati dal pm Davide Rosati, titolare del fascicolo, agli uomini della sezione di polizia giudiziaria della polizia stradale, in diverse occasioni all’atto del monitoraggio e controllo della strumentazione, i tachigrafi sarebbero stati manomessi, probabilmente con l’obiettivo di alterare i tempi di guida e riposo previsti dalla normativa. Da quanto si apprende gli agenti si sarebbero mossi di iniziativa, effettuando dei controlli nelle officine che hanno l’autorizzazione ad installare e revisionare gli apparecchi. Questo, probabilmente, anche in seguito ad alcuni controlli effettuati su strada. Nei giorni scorsi, nelle due officine interessate, sono stati effettuati anche dei sequestri di alcuni strumenti utilizzati per il monitoraggio e la revisione dei tachigrafi. Le indagini, comunque, proseguono, e non è escluso che nei prossimi giorni possano allargarsi anche ad altre officine.
Non è la prima volta che la manomissione dei cronotachigrafi dei mezzi pesanti finisce sotto la lente di ingrandimento della magistratura, ma fino ad oggi le denunce avevano interessato prevalentemente autisti e imprese di autotrasporti. Nel corso degli anni la polizia stradale, durante i controlli su strada, ha più volte scoperto casi di manomissione degli strumenti di registrazione dei tempi di guida e riposo. Manomissioni che però, nella maggior parte dei casi, venivano effettuate in maniera artigianale, come nel caso dei due autotrasportatori fermati nel 2016 a Giulianova e Martinsicuro che avevano manomesso attraverso una rudimentale calamita montata ad arte e nascosta nel bulbo del cambio. In quell’occasione i due conducenti erano stati sorpresi dai poliziotti a circolare mentre avrebbero dovuto completare le loro ore di riposo giornaliero, con i fogli di registrazione del cronotachigrafo che non annotavano nulla, proprio come se i mezzi fossero fermi. E così per entrambi era scattata la relativa sanzione amministrativa prevista dal codice della strada, oltre alla denuncia per rimozione ed omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro

fonte ilcentro

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I controlli della Polizia Stradale sui mezzi in circolazione sono sempre più assidui e il controllo non si basa solo sui tempi di guida e riposo, sulla velocità, sulla massa, sulla documentazione regolare, ma e soprattutto “ultimamente” su probabili manomissioni del Cronotachigrafo.

Qualche giorno fa un’azienda è stata fermata dalla Polizia Stradale ed in fase di controllo hanno verificato che il sensore (Kitas), nonostante fosse stata fatta la taratura del Cronotachigrafo e apposti i sigilli, risultava, dopo aver accompagnato il mezzo presso un’officina autorizzata “gradita” dalla Polizia Stradale (!?!), una manomissione che realmente non c’è stata.

Veniva quindi emesso verbale di 1796€ sospensione della patente all’autista incolpevole, 10 punti sulla patente, ma fin qui “per assurdo” sembra tutto in ordine, l’azienda doveva accertarsi? se sì come? portando il mezzo presso un’altra officina ed effettuare  nuovamente la taratura?…

Comunque l’azienda paga il verbale, l’autista si becca la sospensione della patente insieme ai 10 punti, ma non finisce qui.

L’officina che ha fatto il controllo richiesto dalla pattuglia della Polizia Stradale, sostituiva il sensore, emetteva fattura il cliente pagava e se ne andava via “tranquillo”senza effettuare l’accoppiamento con il cronotachigrafo, senza mettere i sigilli sul bulbo del cambio e senza inserire la scheda dell’officina sul cronotachigrafo per registrare l’intervento, tra l’altro obbligatoria pena una denuncia penale, lasciava andar via l’autista.

Successivamente il titolare porta il mezzo presso un’altra officina, per verificare se il lavoro è stato eseguito in modo corretto , ed evitare ulteriori sanzioni, e… sorpresa.

L’officina che ha fatto l’intervento con la Polizia Stradale ha lasciato andare via il mezzo

  • senza effettuare l’accoppiamento con il cronotachigrafo;
  • senza mettere i sigilli sul bulbo del cambio;
  • senza inserire la scheda dell’officina sul cronotachigrafo per registrare l’intervento, tra l’altro obbligatoria pena una denuncia penale;

La domanda nasce spontanea, ma se il mezzo veniva fermato in questo tragitto, scattava il fermo amministrativo, la sanzione penale per attentato alla sicurezza per aver rimosso i sigilli (non apposti dall’officina), e il ritiro della patente.

ma di chi fidarsi?

Spero che il Ministero o chi per lui provveda a revocare immediatamente l’autorizzazione alla taratura e istallazione dei Cronotachigrafi a questa officina e che venga anche condannata a pagare tutte le spese che l’azienda sostiene.

 

 

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Se ci si trova alla guida di un mezzo superiore a 3,5 ton e al momento del controllo viene riscontrato che nella giornata antecedente si è fatta una guida senza scheda, o una guida in “OUT” che si è protratta per diversi km ad una velocità elevata, che sanzioni vengono applicate?

Nel caso in cui si verificasse il caso come sopra indicato, la sanzione da applicare è relativa all’art. 179 comma 3, per un importo  di 833,00€ inoltre viene chiesto chi era il conducente del veicolo ai sensi dell’art. 126 bis se questo dato non viene fornito scatta una ulteriore multa di 434,00€.

Chiaramente non finisce qui, perché in base all’art. 179 comma 3 se si raggiungono 3 sanzioni nell’arco di un anno scatta la sospensione dell’autorizzazione al trasporto...e ancora una ulteriore sanzione di 334,00€ per la corresponsabilità dell’azienda in base all’art. 174 comma 14.

Insomma siamo praticamente a 1.601,00€, il tutto se l’infrazione non viene commessa dalle 22 alle 7 del mattino altrimenti si arriva a sborsare 2134, 67 €.

Tutte queste sanzioni sono a carico dell’azienda, il conducente non è minimamente coinvolto.

Le guida senza scheda non sono ammesse, le guide in OUT sono ammesse solo all’interno delle aree private, e per piccoli spostamenti e comunque il mezzo è messo a disposizione di altro personale per la guida, è bene sempre farsi rilasciare una dichiarazione o una strisciata firmata da chi ha effettuato lo spostamento.

 

 

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Affinché sia valida la multa per eccesso di velocità, accertata tramite autovelox, è necessario che la presenza del dispositivo sia stata preventivamente segnalata. È onere della pubblica amministrazione, in mancanza di attestazione fidefacente contenuta nel verbale, dimostrare la presenza del cartello di preavviso.
Inoltre, tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità devono essere sottoposte periodicamente a verifiche di funzionalità e taratura. In caso di contestazione circa l’affidabilità dell’apparecchio, il giudice dovrà accertare se le suddette verifiche siano state o meno predisposte.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nell’ordinanza n. 1661/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sull’impugnazione di un automobilista che si era visto respingere la sua opposizione contro un verbale elevato nei suoi confronti.

Il caso

In particolare, l’uomo aveva contestato la mancanza del cartello di preavviso della rilevazione della velocità, non contenendo il verbale alcuna indicazione sul punto. Tuttavia, secondo il giudice a quo nessuna norma prevede che l’atto fornisca indicazioni circa la presenza del cartello di preavviso del dispositivo elettronico.
Ancora, è stato ritenuto infondato il motivo con cui l’opponente aveva eccepito la mancata indicazione in ordine alla taratura dell’apparecchio utilizzato: secondo i giudici di merito, le apparecchiature elettroniche regolarmente omologate utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocità stabiliti, come previsto dall’art. 142 C.d.S., non andrebbero sottoposti ai controlli previsti dalla legge istitutiva del sistema nazionale di taratura.

Autovelox: necessarie verifiche periodiche di funzionalità e taratura

Una conclusione ribaltata dalla Corte di Cassazione che si pronuncia a favore dell’automobilista. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 113/2015, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285/1992 nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura.
Ne consegue che, in caso di contestazione circa l’affidabilità dell’apparecchio, come avvenuto nella specie, il giudice è tenuto ad accertare se l’apparecchio è stato o non sottoposto alle verifiche di funzionalità e taratura (Cass. n. 533 del 2018).
Ha errato, dunque, la sentenza impugnata a ritenere che spetta all’opponente fornire la prova del cattivo funzionamento dell’apparecchiatura elettronica, implicitamente escludendo la necessità di procedere in fatto alla relativa verifica.

Controllo elettronico della velocità e segnaletica di preavviso

Errata anche la conclusione sulla presenza del cartello di preavviso del dispositivo elettronico. Gli Ermellini rammentano che, ex art. 4 della L. n. 168/2002, da considerarsi norma imperativa, la P.A. proprietaria della strada è tenuta a dare idonea informazione dell’installazione e della conseguente utilizzazione dei dispositivi di rilevamento elettronico della velocità, configurandosi, in difetto, l’illegittimità del relativo verbale di contestazione.
Tale norma non può essere considerata una priva di precettività, posto che la cogenza di tale previsione è desumibile anche dall’innesto successivo del comma 6-bis nel testo dell’art. 142 del C.d.S., ad opera dell’art. 3 del d.l. n. 117 del 2007, nonché da quanto stabilito dal successivo decreto attuativo del 15/8/2007.
Da tale complesso normativo, si evince che la preventiva segnalazione univoca e adeguata della presenza di sistemi elettronici di rilevamento della velocità costituisce un obbligo specifico e inderogabile degli organi di polizia stradale demandati a tale tipo di controllo, imposto a garanzia dell’utenza stradale, la cui violazione, pertanto, non può non riverberarsi sulla legittimità degli accertamenti, determinandone la nullità.
In definitiva, la validità della sanzione amministrativa irrogata per eccesso di velocità, accertato attraverso un dispositivo di rilevamento elettronico, è subordinata alla circostanza che la presenza di tale dispositivo sia stata preventivamente segnalata.

Autovelox: spetta alla P.A. dimostrare la presenza della segnaletica di preavviso

Tale necessità, tuttavia, non esige che la presenza della segnaletica di preventiva informazione sia anche indicata, a pena di nullità, nel verbale di contestazione: a condizione, però, che di tale segnaletica sia stata accertata o ammessa l’esistenza (Cass. n. 680 del 2011).
Dunque, se correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non previsto da alcuna norma, primaria o secondaria, che il verbale di contestazione debba indicare la presenza del cartello di preavviso del dispositivo elettronico, ha invece sbagliato a onerare l’opponente della prova della violazione da parte dell’amministrazione delle procedure di accertamento quanto alla presenza del cartello di preavviso del dispositivo elettronico.
Il relativo onere probatorio, infatti, in mancanza di un’attestazione fidefacente al riguardo contenuta nel verbale, incombe sull’Amministrazione opposta, trattandosi di una condizione di legittimità della pretesa sanzionatoria.
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La Polizia Stradale di Crema ha fermato un mezzo pesante e da un approfondito controllo è emerso che erano stati rimossi i sigilli sul cronotachigrafo.

Il conducente un 52enne, dipendente di un’azienda cremasca, colto in flagrante, è stato dapprima multato con una sanzione di 1800€, poi è stato denunciato per rimozione e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e “dulcis in fundo” il ritiro della patante.

L’azienda in quanto corresponsabile è stata multata per 850€ per aver omesso di fare i controlli dovuti sui mezzi.

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Dopo la condanna in primo grado per un dirigente della Motorizzazione che ha agevolato l’esame del patentino per le merci pericolose si è chiusa l’indagine su numerosi autisti di camion che avrebbero beneficiato del suo aiuto.

L’8 novembre 2018 il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Como, Laura De Gregorio, emise tre condanne di primo grado per un dirigente della Motorizzazione Civile e due responsabili di autoscuole nell’ambito di un’ampia inchiesta su agevolazioni per conseguire il certificato di abilitazione al trasporto di merci pericolose, il cosiddetto patentino Adr. Secondo l’accusa, il dirigente aiutò i candidati in difficoltà durante l’esame, fornendo loro le risposte ai quiz. Un esempio eclatante riguarda un candidato che conseguì l’abilitazione pur non avendo risposto a 24 domande su un totale di 25. Durante l’inchiesta, la Procura di Como contestò 104 elaborati irregolari presentati da 84 candidati inviati da due autoscuole. Il dirigente della Motorizzazione chiese il rito abbreviato e ricevette una condanna di sei anni e otto mesi più la confisca di 110mila euro, mentre i responsabili della due autoscuole patteggiarono uno quattro anni e 15mila euro di multa e l’altro tre anni e sei mesi e 30mila euro di multa.
Ma i magistrati non hanno chiuso l’inchiesta con queste tre condanne, perché le indagini hanno coinvolto altre tipologie di patenti e certificati che sarebbero stati conseguiti falsificando i risultati degli esami. Il 22 gennaio 2019 il giudice per l’udienza preliminare ha chiesto il rinvio a giudizio per altri reati per le tre persone già condannate (che in questo caso sono accusate anche di associazione per delinquere) e per altri indagati per diversi casi, tra cui la promozione di candidati agli esami, il superamento della revisione di veicoli anche irregolari e una corsia preferenziale per i disbrigo di pratiche amministrative. Complessivamente la richiesta di rinvio a giudizio riguarda 24 persone. La Procura di Como ha aperto un filone d’inchiesta anche sui beneficiari di questa corruzione, ossia gli autisti di veicoli industriali che hanno conseguito il patentino Adr con l’aiuto del dirigente della Motorizzazione. Alla fine di gennaio 2019 circa settanta camionisti hanno ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini, che è il primo passo verso la richiesta di rinvio a giudizio.

Credo che sia ora prendere in esame anche chi ha avuto il “patentino ADR” in Slovenia e ultimamente a San Marino, dove tutto è più facile, basta pagare e…. poi ci sono incidenti mortali sulle strade.

Il trasporto delle merci pericolose e il fatto che per il rinnovo dei patentini ADR ogni 5 anni con esame, sta a significare quanto dovrebbe essere rigoroso il controllo.

fonte trasportoeuropa

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Possibili novità in arrivo per le autostrade: il ministro del Lavoro Luigi Di Maio durante una diretta Facebook ha annunciato che il Governo sta valutando una tariffa unica europea per l’utilizzo della rete autostradale, un rinnovamento che comprenderebbe anche l’abolizione del casello.

Il vice Premier è tornato anche sul tema delle gestioni delle tratte stradali, ribadendo la propria volontà a togliere la concessione al gruppo Atlantia della famiglia Benetton.

Il progetto dovrebbe partire da una direttiva europea a cui l’Italia si adeguerebbe.

Questa possibilità potrebbe ridurre i costi per circa il 30% molto di più rispetto agli attuali rimborsi autostradali di cui usufruiscono le aziende di trasporto.

Molto probabilmente assisteremo ad una battaglia “furibonda” su tutta la filiera che “guadagna” nei pedaggi autostradali.

A dirlo in poche parole, certe “lobbies”, si batterebbero fino allo stremo per difendere quanto già acquisito e cioè una percentuale che arriva fino al 3% dei pedaggi che si pagano mensilmente su un fatturato di riferimento di circa 2 milardi di Euro.

In questo modo si arriverebbe ad avere alcune certezze, non essendoci più da recuperare i costi relativi ai pedaggi autostradali, e conoscendo già il costo con una tariffa unica, si potrebbe organizzare al meglio l’attività di trasporto, conoscendo fin da subito l’effettivo ricavo per ogni singolo viaggio.

Come associazione di categoria ci auguriamo che vada in porto per evitare tanti “mangioni” intorno al povero trasportatore.