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Gli aumenti generalizzati che hanno colpito la filiera dei trasporti e della logistica nelle settimane appena trascorse poteva e potrebbe essere affrontata con il ripristino della normativa riguardante i costi minimi di sicurezza nella vecchia formulazione prima dell’abrogazione intervenuta con la Legge di Stabilità del 2015.

facciamo un piccolo riassunto

I costi minimi

L’art. 83 bis del D.L. n. 112/2008 prevedeva i criteri di determinazione del corrispettivo minimo che doveva essere garantito al vettore, nel perseguimento delle finalità di tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell’autotrasporto di cose per conto di terzi.

In particolare, il valore del costo minimo relativamente a ciascun singolo servizio di autotrasporto si determinava in funzione del costo del carburante, al quale veniva attribuita una percentuale massima di incidenza sul corrispettivo minimo spettante in favore del vettore.

A tal riguardo, con decreto emesso su base mensile dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti vennero individuati i costi minimi per chilometro di percorrenza in relazione a:

–      cinque categorie di veicoli generici distinte in base alla massa complessiva a pieno carico e ad ulteriori categorie di veicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 26 ton utilizzati per determinate tipologie di trasporto;

–      cinque distinte fasce chilometriche di percorrenza.

Le azioni aventi ad oggetto il diritto alla corresponsione dei costi minimi di cui all’art. 83-bis sono soggette:

–      al termine di prescrizione di 1 anno, previsto in via generale in materia di trasporto dall’art. 2951 c.c., in caso di avvenuta stipulazione di un contratto di trasporto in forma scritta ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 286/2005;

–      al termine di prescrizione di 5 anni, in caso di mancata stipulazione di un contratto in forma scritta ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 286/2005.

I costi minimi – Azione per il mancato pagamento dei costi minimi

Nel caso in cui il corrispettivo effettivamente percepito dal vettore risultava inferiore ai costi minimi, il vettore poteva proporre “domanda d’ingiunzione di pagamento mediante ricorso al giudice competente, ai sensi dell’articolo 638 del codice di procedura civile, producendo la documentazione relativa alla propria iscrizione all’albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, la carta di circolazione del veicolo utilizzato per l’esecuzione del trasporto, la fattura per i corrispettivi inerenti alla prestazione di trasporto, la documentazione relativa all’avvenuto pagamento dell’importo indicato e i calcoli con cui viene determinato l’ulteriore corrispettivo dovuto al vettore ai sensi dei commi 7 e 8.”  

Il giudice, verificata la regolarità della documentazione prodotta dal vettore nonché la correttezza dei calcoli, poteva ingiungere al committente di pagare senza dilazione, autorizzando la esecuzione provvisoria del decreto ai sensi dell’art. 642 del codice di procedura civile.

Inoltre, nei confronti del soggetto responsabile della violazione della disciplina in materia di costi minimi posta dai commi 7, 8 e 9 dell’art. 83 – bis, trovava applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio della differenza tra quanto fatturato e quanto dovuto sulla base della normativa in materia di costi minimi (comma 14, art. 83-bis).

I costi minimi – Termine di pagamento del corrispettivo

Il comma 12 dell’art. 83 bis, prevedeva inoltre che il pagamento del corrispettivo dovuto al vettore per l’esecuzione del servizio di autotrasporto non doveva avvenire oltre i 60 giorni decorrenti dalla data di emissione della fattura da parte del creditore, la quale doveva avvenire entro e non oltre la fine del mese di esecuzione del trasporto.  

In caso di mancato rispetto di tale termine di pagamento, il vettore, ai sensi del comma 13 dell’art. 83-bis, ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, e “trovava applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 10% dell’importo della fattura e comunque non inferiore a 1.000,00 euro (comma 14, art. 83)“.

Il comma 13 bis estendeva l’applicazione del termine di pagamento e della sanzioni per il mancato rispetto dello stesso, anche alle prestazioni fatturate dagli operatori della filiera diversi dai vettori, che partecipano all’esecuzione del servizio di trasporto.

I costi minimi sono Costituzionali

I costi minimi dell’autotrasporto sono stati dichiarati legittimi dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 47 del 2 marzo 2018.

In particolare, i giudici hanno affermato che l’articolo 8-bis della Legge 133/2008 non contrastava i principi della Costituzione. Questa vicenda partita da un ricorso presentato dal Tribunale di Lucca nel febbraio 2017, nell’ambito di una causa in cui la società di autotrasporto GFM Trasporti ha chiesto al suo committente Ondulati Giusti il pagamento di 261.906,70 euro come differenza tra la tariffa concordata alla firma del contratto di autotrasporto e quanto previsto come costo minimo per la sicurezza dall’articolo 83-bis.

Dopo avere ripercorso la complessa vicenda legislativa e giudiziaria (che comprende anche due sentenze della Corte di Giustizia Europea) delle vecchie tariffe a forcella, diventate poi costi minimi di sicurezza e infine costi minimi d’esercizio dell’autotrasporto, i giudici costituzionali sono entrati nel vivo della questione, rigettando il ricorso del Tribunale e, quindi, ritenendo legittimi dal punto di vista costituzionale i commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11 dell’articolo 83-Bis, poi abrogati dalla legge di stabilità del 2015 su pressioni della committenza.

A sostegno della loro decisione, i giudici costituzionali hanno citato il principio – previsto sia dalla normativa comunitaria sia dalla Costituzione – secondo cui un interesse di ordine generale può costituire una limitazione alla libera contrattazione tra le parti, principio che sta alla base dei costi minimi di sicurezza e che viene invocato da anni dalle associazioni degli autotrasportatori.

“Più volte la giurisprudenza comunitaria avrebbe avuto modo di affermare che sono compatibili con le norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e di libertà di prestazioni dei servizi, di libertà di concorrenza e di trasporti, i provvedimenti legislativi e amministrativi, direttamente riferibili allo Stato membro, che, per ragioni di interesse generale, introducono tariffe minime e/o massime”, scrivevano i giudici nella sentenza per quanto riguarda il rispetto delle norme comunitarie.

Sul rispetto della Costituzione, il ricorso del Tribunale di Lucca invocava il contrasto dell’articolo 81-bis all’articolo 41 della Costituzione, ossia quello che stabilisce la libertà dell’iniziativa privata. A tale proposito i giudici costituzionali controbattevano che “il principio di libertà di iniziativa economica privata deve essere bilanciato da contrapposti interessi di utilità sociale, purché l’individuazione degli stessi non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non prevedano misure palesemente incongrue”. In tale bilanciamento, “assumerebbe rilevanza l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale, che giustificherebbe la limitazione della libertà negoziale delle parti, allo scopo di garantire che il corrispettivo del vettore sia tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio”.

Sull’opposizione secondo cui i costi minimi non garantiscono il rispetto delle norme di sicurezza, i giudici affermavano che invece sono “un intervento regolatorio ex ante, perfettamente compatibile – ed anzi complementare – rispetto alle altre disposizioni legislative, richiamate nell’ordinanza di rimessione, che disciplinano l’intervento ex post, finalizzato a reprimere la violazione delle regole di sicurezza”. E precisavano che “l’osservanza di una regola può essere assicurata non solo attraverso norme repressivo-sanzionatorie, ma anche mediante norme dirette a prevenire la violazione, rimuovendo o quanto meno riducendo l’interesse a commetterla”.

Come ulteriore spiegazione, la sentenza affermava che “peraltro, la fissazione in via amministrativa di costi minimi, la cui copertura deve essere garantita dal corrispettivo, non invaderebbe tutto lo spazio negoziale a disposizione delle parti, riguardando solo i costi incomprimibili ed essenziali per la sicurezza della circolazione stradale. Rimarrebbero, invece, alla libera contrattazione, e quindi alla concorrenza, tutte le altre voci che incidono sulla determinazione del corrispettivo, ivi compreso il margine di profitto. Si tratterebbe di un regime non assimilabile ad una vera e propria regolazione tariffaria (di cui, anzi costituirebbe il superamento), la cui incidenza sulla libertà negoziale delle parti sarebbe alquanto ridotta ed ampiamente giustificata dalle descritte esigenze di sicurezza, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità”.

fonte truck 24

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fonte ipsoa

Per le imprese il contratto di rete, correttamente applicato, costituisce un valido ed efficace strumento di utilizzo delle risorse umane. Un’azienda potrebbe, infatti, ottenere grandi vantaggi economici condividendo la spesa di personale altamente specializzato. Per questa tipologia contrattuale sono, inoltre, ipotizzabili sistemi premiali condivisi e contrattati tra aziende retiste e organizzazioni sindacali con l’applicazione della normativa fiscale di favore dei salari di produttività. La stessa contrattazione collettiva potrebbe prevedere anche incentivi per il personale, quali sistemi di welfare aziendale diffuso integrati da modalità lavorative flessibili. Quali sono i vantaggi del contratto di rete? Se ne parlerà nel corso del VII Forum TuttoLavoro, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrinalavoro.it, RCS Academy e Corriere della Sera, in programma a Roma il 27 novembre 2019.Con contratto di rete si intende una innovativa forma di legame tra imprese, o più in generale tra operatori economici, in cui per giungere ad un fine comune ci si “allea” per meglio competere sul mercato. I soggetti retisti mantengono autonomia, indipendenza e specificità giuridica ma possono mettere a fattor comune ricercheinvestimentimarketing ed uso più efficiente del personale in forza a ciascun retista.

Come funziona il contratto di rete

In altri termini con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa (art. 3, comma 4 ter, del D.L. n. 5/2009).Il contratto di rete di imprese è disciplinato dall’art. 3, commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies del D.L. n. 5/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 33/2009.Il contratto di rete, inizialmente riservato ad imprese, a seguito del “Jobs Act del lavoro autonomo”, ha aperto i propri confini anche al mondo delle professioni ordinistiche o meno. Infatti, al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste. di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del D.L. n. 5/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 33/2009, con accesso alle relative provvidenze in materia (art. 12 c. 2 l. n. 81/2017).Leggi anche Contratti di rete: quali vantaggi per aziende e dipendenti

Distacco del personale

Volendo soffermarci sulle conseguenze lavoristiche del contratto di rete si deve primariamente evidenziare come la rete offra la possibilità di un utilizzo flessibile del personale. Anzitutto attraverso lo strumento del distacco, il cui uso all’interno della rete è stato facilitato dalla legge. Inoltre, con la possibilità, riconosciuta dalla stessa legge, di prevedere forme di codatorialità e di titolarità congiunta dei rapporti di lavoro facenti capo alle aziende retiste.E’ proprio il novellato comma 4 ter, inserito all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, che chiarisce che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del D.L. n. 5/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 33/2009, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete.Per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”.L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con circolare n. 7/2018 ha analizzato le conseguenze lavoristiche del contratto di rete anche al fine di prevenirne e reprimerne usi elusivi. Affinchè l’automaticità dell’interesse al distacco, da una parte, e la messa a “fattor comune” dei dipendenti attraverso la codatorialità si producano nei confronti dei terzi, ivi compresi i lavoratori, è necessario che si proceda preventivamente alla iscrizione nel Registro delle imprese del contratto di rete (v. art. 3, comma 4 quater, del D.L. n. 5/2009).All’interno di una rete valgono le ordinarie regole in caso di assunzione del personale. I lavoratori devono essere assunti, mediante l’assolvimento dei relativi adempimenti di legge (comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro, consegna della dichiarazione di assunzione e registrazioni sul LUL) da una delle imprese partecipanti anche laddove si tratti di socio di cooperativa. Detti lavoratori potranno essere distaccati dall’azienda titolare del rapporto di lavoro verso altri soggetti retisti.Il requisito della motivazione dell’interesse del distaccante è dato per assolto dal Legislatore nella stessa costituzione della rete, quindi la impresa distaccante e distaccataria non dovranno necessariamente ricercare ulteriori motivazioni per il negozio giuridico attivato. Bisogna però fare attenzione alla circostanza che permangono, al fine della genuinità del distacco stesso, gli altri elementi ritenuti essenziali dall’art. 30 del D.Lgs 276/03. In particolare, il rapporto dovrà essere informato alla temporaneità che, in questo caso, potrà anche essere correlata alla durata stessa della rete ove il distacco risulti necessario per il raggiungimento delle finalità proprie.Appare opportuno ricordare come la “liberalizzazione” del distacco tra retisti non sia generalizzata ma anzi debba essere sempre strettamente correlata alle finalità che il contratto di rete intende perseguire e pertanto, si ritiene utile, indicare già nel contratto di rete le tipologie dei lavoratori interessati a possibili distacchi presso altri utilizzatori retisti.Anche all’interno della rete poi bisognerà ricordare che ove il distacco comporti un mutamento di mansioni questo debba avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti poi un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Utile infine ricordare che il distacco all’interno di una rete non esclude gli obblighi di comunicazione ai sistemi informativi dei Servizi provinciali per l’impiego nel cui territorio è collocata la sede di lavoro (entro 5 giorni) e la registrazione sul LUL dell’impresa distaccataria dei dati generali del lavoratore distaccato.Dopo la stretta normativa sul contratto a termine e sulla somministrazione a termine (D.L. n. 87/2018 – decreto Dignità) si sta registrando un rinnovato interesse verso il contratto di rete quale elemento regolatore di flessibilità di impiego di lavoratori coniugata con la stabilità contrattuale.In pratica, vista la relativa semplicità di “scambio di lavoratori” si registrano esperienze di raggruppamenti di imprese con esigenze temporali di impiego complementari in cui lavoratori, assunti formalmente da una o più imprese retiste, vengano distaccati ad altre imprese nei momenti di bassa necessità occupazionale da parte dell’impresa datrice di lavoro.

Utilizzi elusivi del contratto di rete

Ovviamente, come in ogni umana attività, vicino agli utilizzi propri dell’istituto si cominciano a registrare anche utilizzi elusivi dello stesso. Infatti, una artificiosa rete potrebbe costituire luogo di sfruttamento e di falsa somministrazione di lavoratori che, assunti formalmente da una società della rete magari una falsa cooperativa, venissero distaccati presso le altre con retribuzioni più basse e diritti ridotti.L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la ricordata circolare n. 7/2018, ha evidenziato come tali comportamenti possano integrare le fattispecie di reato previste dall’art. 603 bis c.p. come modificato dalla l. n. 199/2016 che ha introdotto disposizioni contro lo sfruttamento dei lavoratori ed in contrasto del fenomeno del caporalato. Infine dopo la reintroduzione del reato di somministrazione fraudolenta, ad opera del D.L. n. 87/18, un distacco posto in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, può costituire una forma di somministrazione fraudolenta alla stregua dell’appalto illecito.E’ opportuno poi ricordare come all’interno di una rete tutti gli utilizzatori di manodopera distaccata siano legati con il datore di lavoro distaccante da vincoli di solidarietà rispetto agli obblighi retributivi e contributivi nei confronti del personale distaccato.Utili strumenti per proteggere i genuini contratti di rete ed il conseguente rispetto degli impegni sociali degli imprenditori retisti risultano essere la certificazione dei contratti di lavoro. il contratto di rete è certificabile con le procedure di cui all’art 75 e segg. del D.Lgs 276/03, e l’asseverazione della conformità dei rapporti di lavoro (Asse.Co.) volta a garantire l’esatta applicazione delle norme di lavoro all’interno di ciascuna impresa ivi compresa quella distaccante.

alla data odierna i contratti di rete in essere e le aziende coinvolte

Considerazioni conclusive

In questa ottica il contratto di rete, correttamente applicato, costituisce un valido strumento di efficientamento delle risorse umane che possono meglio operare là dove la loro specializzazione sia maggiormente richiesta. Un’impresa pertanto potrebbe ottenere grandi vantaggi anche di tipo economico condividendo la spesa di personale altamente specializzato e quindi con conseguenti elevate richieste retributive.Il contratto di rete stesso poi potrebbe costituire un virtuale “territorio di lavoro” regolamentato da disposizioni comuni discendenti da contrattazione collettiva di secondo livello. Sarebbero pertanto ipotizzabili sistemi premiali condivisi e contrattati tra aziende retiste e organizzazioni sindacali con l’applicazione della normativa fiscale di favore dei salari di produttività.La stessa contrattazione collettiva potrebbe prevedere elementi incentivanti e fidelizzanti per il personale, quali sistemi di welfare aziendale diffuso integrati da modalità lavorative flessibili (smart working). Una rete così costruita può essere vista come un vero laboratorio di buona flessibilità concordata che metta insieme raggiungimento di risultati, stabilità contrattuale, produttività.

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Quando le imprese decidono di fare rete condividono competenze diverse che si integrano perfettamente per loro. In questo modo possono alimentare le loro conoscenze ed avere idee innovative. 

Offriamo un servizio di consulenza alle imprese. In questo modo caso per caso può verificare la possibilità per un’azienda di aderire ad una rete di impresa oppure di crearne una nuova. Tutte le imprese possono cooperare con le altre, non esiste alcun limite. Aziende che eseguono attività complementari possono cooperare per proporre un’offerta al mercato più competitiva.

I costi aumentano? La risposta è sicuramente no. I costi infatti vengono condivisi con la rete e in più si ha la possibilità di accedere ad interessanti agevolazioni fiscali.

I principali vantaggi di entrare in rete

ο    Divenire un’aggregazione di dimensioni tali da poter affrontare meglio il mercato, anche estero
ο    Ampliare l’offerta dei beni e/o servizi
ο    Dividere i costi
ο    Accedere a finanziamenti e contributi a fondo perduto
ο    Godere di agevolazioni fiscali (quando vigenti)
ο    Partecipare alle gare per l’affidamento dei contratti pubblici
ο    Impiegare il distacco del personale tra le imprese: l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete
ο    Assumere in regime di codatorialità il personale dipendente secondo le regole di ingaggio stabilite nel contratto di rete

Perché aderire ad una rete d’impresa?

Uno dei più famosi proverbi italiani cita: “l’unione fa la forza”. Questa frase incarna alla perfezione l’essenza di una rete d’impresa.

La rete d’impresa è un accordo fra più aziende con competenze diverse ma con uno scopo in comune: la crescita del proprio business. Partecipando ad una rete d’impresa la probabilità di raggiungere i propri obiettivi ed imporsi sul mercato aumenta drasticamente perché la cooperazione con le altre aziende permette di proporre un’offerta completa al cliente.

Il cliente quindi non avrà necessità di rivolgersi ad altre imprese perché sarete molto competitivi sul mercato.

La rete d’impresa ti permette di rivolgerti in modo completamente diverso al mercato di riferimento, ecco perché noi accompagniamo le aziende ad unirsi in altre reti con servizi di consulenza oppure in alcuni casi facciamo creare una nuova rete.

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“«Dove non riusciranno i disagi generati dal green pass, dove inciderà sia pure in parte rilevante la mancanza di autisti, o, ancora i cantieri sulle autostrade e gli ingorghi e disagi che ogni giorno, a malincuore dobbiamo sopportare e subireche, in un panorama di incremento costante nel prezzo del carburante, l’autotrasporto potrebbe arrivare ad un blocco a seguito della mancanza di AdBllue e statene ceertiperchè senza una soluzine immediata….ci riuscirà!! Dietro al  nome AdBlue, a tanti sconosciuto, si cela un prodotto chimico che obbligatoriamente i camion Euro 5 e Euro 6 (ovvero i più ecologicamente avanzati) devono utilizzare e in assenza del quale i loro motori diesel si fermano. Il rischio: tale situazione sta portando l’autotrasporto verso un fermo tecnico globale, lasciando liberi di circolare solo i camion più vecchi e più inquinanti.”

Le riserve  di Adblue si stanno rapidamente esaurendo per una reazione a catena che attenziona tutte le regioni italiane: l’inaudito aumento del metano, necessario a produrre ammoniaca e quindi a produrre urea, utilizzata per fertilizzare i campi, e in minima parte convertita in Adblue necessario a far muovere i motori dei camion, sta rapidamente sparendo dal mercato.

La linea produttiva di Adblue presente sul nostro territorio si è fermata alimentando fenomeni di produzione di riserve da parte di chi ne ha possibilità e quindi di speculazione. Questa situazione provocherà una inesistenza di prodotto.  Attualmente il costo è balzato da 280,00 euro ad oltre  500,00 euro per 1.000 litri. Il fenomeno riguarda 1,7 milioni di veicoli  adibiti al trasporto delle merci.

Tutti i camion utilizzati per il  per il trasporto merci hanno un sistema che utilizzando l’Adblue abbatte l’ossido di azoto e gli nox. Evviva la transizione ecologica ed in barba alla rottamazione per la sostituzione dei vecchi mezzi con i nuovi.

In tal modo, essendo il trasporto un settore vitale per l’economia si innesca, paradossalmente una concorrenza tra le nuove flotte ed i proprietari dei vecchi mezzi inquinanti: chi non ha cambiato o potuto cambiare i vecchi mezzi si ritroverà, a breve, a godere di una posizione di vantaggio.

A questo aggiungiamo coloro che, per alto senso civico, ha investito sui mezzi alimentati a GNL, oggi si trova a pagare più del doppio per il rifornimento: da poco meno di 1 euro a 2,20 euro senza poter usufruire del recupero delle accise.

Il rischio: il non voluto  fermo dei mezzi di nuova generazione, renderà,  e si vuole sopravvivere e garantire la distribuzione, obbligatorio l’utilizzo dei Tir vecchi, con una esplosione di prezzi gonfiati e con un incremento record delle emissioni.

Domanda: le Autorità di vigilanza sul mercato e le istituzioni competenti? Se ci siete battete un colpo!!!

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A PROPOSITO DI GREEN PASS OBBLIGATORIO!!!!Non entro nel tecnicismo politico pur rispettandone le decisioni (sono vaccinato), ma partendo dal fatto che nel settore dell’Autotrasporto dove è difficile reperire autisti professionali…..il Governo ha approvato un decreto legge che estende l’obbligo del Green Pass ai lavoratori del settore privato, che non erano ancora stati inclusi, per cui anche all’Autotrasporto e Logistica.L’obbligo scatterà a partire del prossimo 15 ottobre. I lavoratori avranno quindi tempo fino a quella data per adeguarsi alle nuove regole entrando in possesso del Green Pass tramite vaccinazione anti Covid o tampone (antigenico o molecolare) negativo.Di seguito “riporto” gli elementi principali della novità governativa che sono stati diffusi con un comunicato stampa, in attesa delle Linee Guida che Il Governo ha promesso di emettere a breve e che dovrebbero dettagliare le regole applicative in modo più pratico e differenziato per categoria di impresaMolte Imprese ci stanno informando del fatto che una significativa percentuale di autisti non si sono vaccinati e non intendono procedere e che molti hanno difficoltà a sostenere la spesa per i temponi.E’ chiaro che con la cronica assenza di Autisti, questo scelta governativa ( condivisa da tutte le Confederazioni di rappresentanza delle Imprese e dai Sindacati dei Lavoratori), rischia di essere un problema molto serio per le aziende dell’autotrasporto, per la Logistica e per l’industria.Ora due tre domande domande, tra tante altre, mi sorgono spontanee: se un autista “tamponato” regolarmente ogni 48 ore ( i costi sono eccessivi comunque) viene contagiato da un collega vaccinato nello stesso ambiente di lavoro, il titolare è penalmente perseguibile per il fatto che dovrebbe essere lui il garante della sicurezza? Se, nel caso di rifiuto da parte del dipendente di fare i tamponi o di vaccinarsi, il titolare può procedere all’accantonamento (discutibile o meno) e sopperire, seppur temporaneamente, con un altro soggetto, chi può garantire la necessaria prestazione professionale considerando che oggi mancano autisti?Il problema, terza domanda, investe anche gli autisti stranieri che lavorano in Italia in “somministrazione”. Come dovrebbe funzionare con loro?Questi tre dubbi , ma non i soli.“Di seguito lo schema delle regole introdotte (in attesa delle linee guida):A chi si applicaSono tenuti a possedere e ad esibire su richiesta i Certificati Verdi coloro che svolgano attività lavorativa nel settore privato.Dove si applicaIl possesso e l’esibizione, su richiesta, del Certificato Verde sono richiesti per accedere ai luoghi di lavoro.I controlli e chi li effettuaCome per il lavoro pubblico, anche per quello privato sono i datori di lavoro a dover assicurare il rispetto delle prescrizioni.Entro il 15 ottobre devono definire le modalità per l’organizzazione delle verifiche.I controlli saranno effettuati preferibilmente all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, anche a campione. I datori di lavoro inoltre individuano i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle eventuali violazioni. Le sanzioniIl decreto prevede che il personale ha l’obbligo del Green Pass e, se comunica di non averlo o ne risulti privo al momento dell’accesso al luogo di lavoro, è considerato assente senza diritto alla retribuzione fino alla presentazione del Certificato Verde. Non ci sono conseguenze disciplinari e si mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.È prevista la sanzione pecuniaria da 600 a 1500 euro per i lavoratori che abbiano avuto accesso violando l’obbligo di Green Pass.Per le aziende con meno di 15 dipendenti, è prevista una disciplina volta a consentire al datore di lavoro a sostituire temporaneamente il lavoratore privo di Certificato Verde.Tamponi calmieratiIl decreto prevede l’obbligo per le farmacie di somministrare i test antigenici rapidi applicando i prezzi definiti nel protocollo d’intesa siglato dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, d’intesa con il Ministro della salute. L’obbligo vale per le farmacie che hanno i requisiti prescritti.Le nuove norme prevedono inoltre la gratuità dei tamponi per coloro che sono stati esentati dalla vaccinazione.”ATTENDIAMO LE LINEE GUIDA, POI SI VEDRA’! SICURAMENTE CHI LEGIFERA AVRA’ TENUTO CONTO ANCHE DI QUESTI PARTICOLARI.

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GOVERNO SUPER!!!!! COLPO DI SPUGNA? Speriamo di no!Il titolo del pezzo forse può trarre in inganno, ma il senso vero è che il Governo riuscirà, per certi versi e se tutto risulterà vero, ad azzerare la rappresentanza del settore dell’Autotrasporto utilizzando alcune modifiche contenute in un Decreto Legge in via di approvazione. Premesso che il Comitato Centrale dell’Albo degli Autotrasportatori è scaduto circa 4 mesi fa, e considerato che tutte le formalità che prevedevano la verifica delle richieste presentate dalle associazioni aspiranti alla presenza in seno all’organismo di rappresentanza dell’Albo Nazionale, il Governo ancora “latitante” su molte richieste sui principali problemi della categoria più volte inoltrate, ha pensato bene di introdurre nel decreto legge (in corso di approvazione) un “illuminato” comma che riguarda la nuova composizione del Comitato Centrale dell’Albo.In concreto, il Governo intende (sempre se vera notizia), da ciò che si legge ed ovviamente a mio modestissimo avviso, affidare l’Albo Nazionale dell’autotrasporto (organismo di tutela) alle sole Confederazioni presenti al CNEL da almeno tre mandati, con la indicazione di un solo rappresentante per ciascuna di esse. ( uno strumento, quello del CNEL, che fu oggetto anche di un quesito referendario, che prevedeva addirittura la sua abolizione! Oggi diventa elemento sine qua non)Tale proposta prevista da DL, credo, verte a ridurre se non addirittura eliminare il “potere pratico-operativo” e per certi versi anche necessariamente consultivo diretto e complessivo, di alcune associazioni dell’autotrasporto (che piaccia o no, comunque sono presenti sul territorio nazionale) a beneficio di quelle confederazioni tradizionali al cui interno esistono, in modo palese, interessi contrapposti all’autotrasporto.Questo è inaccettabile, ma potrebbe, in minima parte, portare alla verifica (elemento positivo) della effettiva rappresentatività a livello nazionale senza dover ricorrere a chiedere, da parte di qualcuno, “asilo” ad alcune Confederazioni. Si capisce anche, seppur discutibile, che il concetto di sindacato maggiormente rappresentativo a livello nazionale risulta essere di difficile definizione.Se ricordo bene per poter essere riconosciuti come maggiormente rappresentativi occorrono alcuni requisiti quali il numero di sedi sul territorio (reali e proprie sedi con Codice Fiscale da Agenzia delle Entrate), numero delle ditte associate, personale impiegato assunto regolarmente, targa distintiva con orario apposta all’esterno della sede dichiarata, CCNL sottoscritti e assistenza sindacale svolta.Così com’è, leggendo il DL, per quello che ci è dato di conoscere, ci troviamo in presenza di un ulteriore “ magico” colpo alla già precaria rappresentanza dell’autotrasporto che negli ultimi anni, oltre ai servizi, non gli è stato possibile coordinare alcun tipo di concreta politica operativa con risultati ed economica a favore delle stesse imprese vuoi anche per mancati o scarsi incontri con risultati concreti nelle sedi istituzionali previste. Alle Associazioni, salvo qualche incontro nel “Palazzo”, non è riservato il trattamento normale a chi rappresenta un settore importante ed a volte vitale e dove, per essere ricevuti e sentiti si deve sempre arrivare a “minacciare”, azioni di protesta.Di questo ed altro (sempre in materia di autotrasporto) parlerò nella mia relazione ospite all’assemblea nazionale di Unilavoro a Roma il prossimo 16 settembre.Se fosse tutto vero, è normale? Assolutamente no! Staremo a vedere e speriamo bene!!! Lunga vita all’autotrasporto e sempre…..buona strada a tutti.

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Peggio di così!!!! Di giorno e di notte, si viaggia sempre più stressati!Chiederemo LA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI CALAMITA’ “INNATURALE”.Io non so, se qualcuno di “competenza” si stia rendendo conto di cosa sta avvenendo e della situazione viabilità in tutt’Italia e nella specie, quella (A14) che mi è vicina geograficamente e che percorro, come tanti colleghi, ogni giorno.Questo il risultato di anni e anni di “incuria e menefreghismo” che sta producendo solo danni infiniti alle imprese di autotrasporto ed ai cittadini, specie in un momento in cui il traffico delle merci ed il turismo sono necessari al rilancio dell’economia ed alla sopravvivenza.Disagi, code, lavori pressochè inesistenti, lunghe “sbirillate” senza logica, lievitazione dei costi, esasperazione e distrazioni, stanno producendo vittime alimentando malcontenti giustificati che, in questo modo, rallentano una economia già fortemente provata. Per quanto tempo ancora si riuscirà a tenere la situazione sotto controllo? Quali sono gli interlocutori con cui rapportarsi, quali sono i lavori in itinere, chi controlla e entro quanto tempo si potrà tornare alla normalità? Tante domande, al momento zero risposte!Apprendo che il 9 luglio dovrebbero essere sospesi i lavori nei cantieri dell’A14. Poi?Mi chiedo quali lavori, visto che non mi risulta sia stato fatto nulla o quasi di quanto deciso nella riunione che si tenne esattamente un anno fa nella quale il gestore dell’Autostrada affermò che le verifiche di stabilità della galleria di Grottammare si sarebbero concluse entro il 21 luglio 2020, che le barriere dei viadotti sarebbero state sostituite subito dopo l’estate e che si sarebbero attivate le due corsie per senso di marcia subito dopo il dissequestro dei viadotti da parte della procura di Avellino. Lo afferma anche Anna Casini con certezza, perché oltre al Prefetto di Ascoli, ai rappresentanti del MIT, dell’ANAS e della Provincia di Ascoli Piceno, era presente anche lei che ai tempi era Assessore alle Infrastrutture della Regione Marche.I lavori potevano (dovevano) quindi iniziare a settembre 2020, ma da questa data sono iniziati solo i disagi infiniti, le tragedie ed è aumentato il pericolo per la privata e pubblica incolumità in particolare con l’incremento del traffico turistico, fisiologico nel periodo estivo. La responsabilità degli incidenti annunciati e purtroppo prevedibili, è in capo a chi avrebbe dovuto terminare i lavori prima dell’estate, ma anche a chi avrebbe dovuto verificare e monitorare l’avanzamento degli stessi. La sicurezza non ha bisogno di spot, ma di soluzioni. Il problema è che non si ha un interlocutore certo a cui rivolgersi: Autostrade, Ministero Infrastrutture e Trasporti? A chi? Evidenziamo l’ennesimo scaricabarile che data, da quello che si vede, la “originale” gestione della condizione dell’A14 e non solo vedi Liguria, vedi Lombardia, vedi Piemonte …vedi tutta l’Italia, sta determinando un grave pericolo per i cittadini come purtroppo testimonia l’ultimo incidente mortale di pochi giorni fa, ma anche danni economici al nostro mondo dell’autotrasportato, dei lavoratori pendolari, al turismo dei comuni costieri e all’immagine delle Marche ed anche del vicino Abruzzo, che vengono percepite da chi percorre l’A14 non per la loro straordinaria bellezza ma come una terra disagiata.Transitando sulle tratte interessate, si rende conto che spesso nei cantieri non si vede nessuno o quasi. E’ assurdo che da Milano a Silvi Marina si debbano impiegare oltre 10 ore di guida oppure per 12 km circa sono necessari 75 minuti. La galleria di Grottammare, quella che fu interessata da un incendio, oggi è oggetto, mi dicono, di verifica sulla stabilità. Vogliamo parlare dei pericoli provocabili dalla strettissima “shicane” ad angolo retto e stretto per cambio corsia ed ingresso nella galleria? Se ciò è vero significa che per anni, chi ha transitato in quella galleria, ha rischiato la vita? Lo stato dei non lavori, ieri sera, ha prodotto, fino a tarda notte, una enorme colonna di mezzi pesanti e non, lungo la statale 16 che interessa anche San Benedetto del Tronto. Noi non molliamo la presa ed oltre ad una azione legale che i nostri avvocati stanno analizzando, pensiamo di chiedere LA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI CALAMITA’ “INNATURALE”

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Premesso che esiste il principio del diritto alla vaccinazione ed al momento non l’obbligo, ma l’opportunità, la libera scelta e la necessità, Il diritto di vaccinarsi non significa obbligatorietà.

Intorno al preoccupante propagarsi dei contagi, si dice frutto della terza ondata ma  che, secondo me, da un anno a questa parte è solo continuazione aggravata, oggi si parla di inefficienza, di carenza e, come al solito nel meccanismo Italia, di furbizia.

Secondo il piano vaccini, quali sono le classi prioritarie?

Dall’elenco non mi pare di aver letto la classe dei furbetti, ma purtroppo sembra che, di fatto, ci sia.

Ancora….. Chi e con quale criterio deciderà la priorità e con quali strumenti?

Pare che sono migliaia i vaccinati che non rientrano nelle palesi ed ovvie priorità del piano strategico. Ci sono, da quello che ci è dato da leggere ed ascoltare, gli imbucati, i furbetti, i raccomandati, gli amici,  i parenti e gli amici dei parenti con particolari influenze che sono riusciti a farsi inserire in lista.

Tutti coloro che non si muovono dagli uffici, che non si alzano mai dalla scrivania e che non hanno alcun rapporto col pubblico, un giornalista, un avvocato (ne cito solo alcuni ovviamente) sono prioritari rispetto a chi, come nel caso degli autisti dei camion e pullman che girano in lungo e largo le strade con contatti ovvi di lavoro,  in “prima linea”.

A talo proposito aumentano le polemiche, dopo i recenti “blocchi” del vaccino Astra Zeneca dei quali si attende una decisione degli organi competenti e contestualmente diminuiscono ed addirittura scompaiono alcune categorie con priorità di somministrazione. Sempre da quello che ci è permesso di sapere, tra i casi sospetti segnalati ci sono diversi amministratori locali, un ex magistrato, un alto prelato ed esponenti delle forze dell’ordine a cui il vaccino sarebbe stato somministrato prima che rientrassero tra le categorie autorizzate.

Una recente inchiesta delle  Iene ha portato a individuare uno tra i tanti “furbetti” che al microfono avrebbe detto di essere stato chiamato dicendogli:  Guarda sono avanzate delle dosi del vaccino, se ce la fai ad arrivare qui in 20 minuti, te la facciamo’. Sono andato e me lo hanno fatto”. Sostanzialmente, da quello che si riesce a capire,  diversi vaccini avanzati che se non utilizzati verranno buttati.

Domanda: nella palese carenza delle fiale come è possibile che possano avanzare?.

Ci serve organizzazione, ordine e priorità (forse anche difficili da codificare in elenchi).

Per il settore dell’autotrasporto mi viene da suggerire una sorta di priorità che, al momnento, è disattesa. Gli autotrasportatori sono una categoria a forte rischio proprio per il fatto che quotidianamente entrano a contatto con molte persone e rischiano il contagio.

Non sono immortali e immuni, quindi nella classifica, fermo restando la volontarietà, dovrebbero essere inseriti tra ì soggetti da tutelare per nulla togliere ai cittadini tutti.