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LA PMIA appoggia pienamente la proposta avanzata, sulla necessità di cambiare la normativa sui tempi di guida e di riposo e in particolare  su quell’art. 12 del regolamento (CE) n. 561/2006 nel quale vengono previste delle deroghe ai periodi massimi di guida soltanto per consentire un punto di sosta appropriato. Sul punto l’Europa non fornisce molte vie di scampo e, come ha avuto modo di chiarire la Corte di Giustizia europea, in ogni caso l’autista può utilizzare la deroga soltanto per motivi che siano conosciuti prima di intraprendere il viaggio. Insomma, situazioni inaspettate e imprevedibili, indipendenti dalla sua volontà. In più anche l’impresa di trasporto deve pianificare con cura il viaggio dell’autista, anche prendendo in considerazione, per esempio, gli ingorghi che si verificano regolarmente o le condizioni meteorologiche. Ma se poi effettivamente accade l’imprevisto, l’autista, senza mettere a repentaglio la sicurezza stradale, indica a mano la natura e il motivo di tale deroga sul foglio di registrazione o nel tabulato dell’apparecchio di controllo.

Sarebbe opportuno inserire la possibilità di concedere agli autisti di poter usufruire di una “tolleranza” di almeno 45 minuti, laddove debbano raggiungere per l’appunto un punto di sosta appropriato. Altrimenti – si osserva – “è assurdo che un autista debba dormire sul proprio veicolo anche se si trova a pochi km dalla sua destinazione finale”. Senza considerare che, in vista dell’apertura del database dell’Albo sulla regolarità delle imprese, sarebbe “sproporzionato” punire oltre modo delle imprese, soltanto per infrazioni ‘minime’ oppure per situazioni dettate dalla necessità di raggiungere un punto di sosta senza compromettere la sicurezza, a tal proposito basta portare come esempio le ultime modifiche apportate dalla Francia insieme ad altri paesi sull’obbligo di effettuare il riposo settimanale non sul mezzo ma bensì in hotel, proprio per garantire un riposo adeguato.

Inoltre è evidente che l’applicazione delle deroghe previste dall’articolo 13 del Regolamento (CE) 561/2006. Per la precisione l’Europa consente 17 deroghe possibili e, tanto per fare un esempio, la Germania le ha applicate tutte. L’Italia, invece, si è accontentata soltanto di 5 deroghe. “Questo comporta che le nostre aziende siano penalizzate oltremisura rispetto a quelle estere”. Le deroghe in questione sono quelle relative, per esempio, ai veicoli che operano sulle isole, quelli che trasportano valori o animali vivi in un raggio di 100 km. Ma bisogna chiamare in causa anche quelle che operano nei distretti produttivi (legno, ceramiche, siderurgico) che percorrono pochissimi km. “Queste dovrebbero essere esentate dall’uso del cronotachigrafo in caso di percorrenze brevi entro i 100 km giornalieri”.

Ultima, ma non ultima, sarebbe opportuno, nell’ambito della riforma del Codice della strada, modificare il comma 14 dell’articolo 174 del CDS sulla responsabilità dell’impresa per le infrazioni dei propri conducenti.
“Appare paradossale che a fronte di un’infrazione ‘lieve’, come ad esempio il mancato rispetto di un periodo di guida di un minuto, all’impresa venga comminata una sanzione pecuniaria di 327 euro; riteniamo invece che le imprese virtuose, ossia quelle che formano i propri conducenti in modo periodico e serio, non debbano essere penalizzate in questa fattispecie e che debba essere previsto un metro di giudizio che tenga conto dell’operato dell’azienda”.

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La giustizia italiana è fatta a macchie. Così un trasportatore fermato in un territorio può essere condannato per un comportamento che altrove, invece, non viene giudicato punibile. Il caso esemplare che si reitera con una certa puntualità riguarda l’alterazione o la manomissione del tachigrafo: molto spesso gli agenti della polizia stradale che si trovano di fronte un autista che circola dopo aver inibito il funzionamento dello strumento che serve a registrare i tempi di guida e di riposo lo puniscono con la sanzione amministrativa (molto salata!) prevista dall’art. 179 del Codice della Strada, alla quale aggiungono anche quella penale contenuta nell’art. 437, relativa alla manomissione di equipaggiamenti finalizzati a salvaguardare la sicurezza sul lavoro. A quel punto, poi, devono sottoporre questo capo di imputazione a un giudice. E qui come detto la giustizia risponde in maniera assolutamente diversificata.

Facciamo qualche esempio. Il Tribunale di Brescia nello scorso febbraio 2015 davanti a un caso come quello ipotizzato (nella fattispecie si trattava dell’utilizzo della calamita per interrompere le registrazioni del tachigrafo) ha assolto l’autista perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. La giustificazione è lineare: quando uno stesso fatto – com’è appunto la manomissione del tachigrafo – viene punito da una disposizione penale e da una che prevede una sanzione amministrativa, si applica, sulla base dell’art. 9 della legge 24novembre 1981 n. 689, la disposizione speciale. E speciale, in tal caso, va intesa la norma del codice della strada.

Molto simile la posizione del Tribunale di Treviso, che nel novembre 2013 ha ribadito come la disposizione di cui all’art. 179 comma 2 del codice della strada deve ritenersi speciale rispetto a quella di cui all’art. 437 codice penale. Di conseguenza, se si considera il tachigrafo come un apparecchio destinato a prevenire infortuni sul lavoro (e su questo il tribunale solleva qualche perplessità (testualmente dice: “se ne potrebbe discutere”), “chi circola con il cronotachigrafo dopo averlo alterato in modo da impedirne il funzionamento,risponde solo della violazione amministrativa prevista dal codice della strada e non del delitto di cui all’art. 437 del codice penale.

Tutto chiaro, quindi? Neanche per sogno. Perché se ci si sposta un po’ (ma in fondo neppure tanto) e si approda a Cremona le conclusioni del Tribunale viaggiano in direzione completamente opposta. In questo caso, infatti, malgrado la vicenda sottoposta al giudizio del Tribunale fosse praticamente identica (di diverso, se proprio si volesse sottilizzare, c’era un telecomando che governava una centralina elettronica che inibiva il funzionamento del tachigrafo), veniva stabilita la responsabilità penale sia dell’autista sia dell’amministratore delegato dell’azienda di cui questi era dipendente, in quanto – si spiegava nella sentenza –  “la contravvenzione di cui all’art. 179 secondo comma codice della strada non esaurisce la tutela dei beni giuridici messi in pericolo dall’alterazione del cronotachigrafo. Infatti il sofisticato congegno montato sull’autoarticolato, azionabile mediante un telecomando abbinato ad una seconda scheda elettronica appositamente inserita, interrompeva non solo il flusso dei dati alla centralina del cronotachigrafo, ma impediva il funzionamento regolare del limitatore di velocità e dell’impianto frenante abs (anti block system) del mezzo. Di conseguenza esso, in particolare a velocità elevata e durante manovre di emergenza, diventava pericoloso per la sicurezza di chi lo conduceva e ovviamente di tutti gli utenti della strada”. E un dispositivo tale veniva giudicato capace di “realizzare condizioni lesive del diritto allo svolgimento del lavoro in condizioni di sicurezza del conducente e di terzi”.

In pratica a rendere incapace l’art. 179 del codice della strada a diventare speciale rispetto all’art. 437 del codice penale era soprattutto la tipologia dell’alterazione, molto più sofisticata e quindi capace di condizionare negativamente altri dispositivi di sicurezza del veicolo (limitatore e abs) e quindi impossibile da restringere al solo perimetro della manomissione del tachigrafo. Come a dire: con una banale calamita, almeno dal punto di vista penale, l’avrebbe fatta franca. O no?

fonte uominietrasporti